Storia del Bridge

Nella novissima edizione a cura di
Alexander Comparinis De Saint Croix
 
STORIA DEL BRIDGE
AD USO DEGLI INDOTTI
TOMO I
DAGLI ALBORI AL RINASCIMENTO

di

Priscilla De’ Morelli
 
Grand Master Medaglia d’Oro alle Olimpiadi di Naiana
con menzione particolare del Presidente della Repubblica
Prima assoluta nei Mondial Champions League “UN DOWN”
detentrice del record “Contratti infelici” conquistato all’Esposizione Internazionale di Parigi
Professoressa emerita nei corsi organizzati dall’Arma dei Carabinieri
PREMESSA
Non si può avvicinarsi a un tavolo ove si giuochi a bridge senza avere una minima nozione di quale sia la istoria del giuoco istesso ed una pur parva conoscenza vel infarinatura delle regole che lo conducono ad essere uno dei trattenimenti più appassionanti per l’uomo moderno, praticatoin ogni angolo del globo* quasi sempre da gentiluomini di mente lucidissima che col bridge hanno ottenuto e ottengono chiara fama et continuative regalie dai Governi et dai Mecenati.
Allo scopo di edurre e dr propedere alla materia andrò quindi ad esporre brevemente la

STORIA DEL BRIDGE NEI SECOLI

Or non é guarì furon rinvenute da alcuni archeologi, durante gli scavi compiuti nei pressi della antichissima cittadina di Ur, alcune tavolette d’argilla cotta sulla cui superficie non
eranvi impressi i soliti graffi a cuneo bensì quattro tipi di simboli in numero progressivo, ascendente dall’uno al dieci, discendente dal dieci all’uno**, più tre
tavole con figure i cui cartigli ne sottolineano la valenza e che nella traduzione che ne fa Carol C. Lamassi suonano come phan-the il primo, donah il secondo e reich il terzo (il terzo reich, come ben dedurranno í dotti).
La licita non era ancora presente nel giuoco, che pensiamo si chiamasse “fah- whe” come si può evincere da un frammento di pannello ceramico babilonese che rappresenta quattro, assisi su una stuoja, che alzano festanti le tavolette appellandosi l’un con l’altro fah-wha, ma riteniamo che già la renonce venisse punita con l’ablazione delle narici.
Testimonianze d’un giuoco simile ci giungono dal frammento su papiro, compilato certamente durante il regno di Amenophi IV. In questo periodo vennero definite le gerarchie
dei simboli, divisi in nobili et minori, come è bene che sia, ed essendo gli Egiziani un popolo di disegnatori, essi si sbizzarrirono in mille variazioni e furono i primi ad usare il papiro al posto delle tavolette cosicché si potessero strisciare elegantemente sul tavoli le carte e si riuscissero a disporre le prese senza creare fastidiose montagnole.
Si narra che dopo la battaglia di Qadesch, per umiliare lo sconfitto re degli Ittiti, Ramses II sfidasse il rivale a fah-whe obbligandolo a giocare in coppia con una Dama di corte, non prima di avergli, con tenaglie infuocate, fatto strappare la lingua, affinché non potesse apostrofare la compagna.
Trasportato come una qualsiasi mercanzia dalle navi fenicie, il fah-whe si diffuse da Creta in tutto l’Egeo. Giuocato all’inizio solo nei palazzi di Cnosso dilagò ben presto anche nelle fasce sociali minori tantochè anche la marmaglia contadina lo praticava intensamente disertando le cerimonie pubbliche e le danze coi tori. Per questo motivo Minòs dette incarico a Dedalo, famoso architetto minimalista, di stilare una volta per tutte le regole del gioco, rendendolo meno accessibile alle menti semplici. Egli gettò le prime basi di quella che sarebbe divenuta la Licita, che però chiamò Acta, termine che qualcuno usa tuttora. Fu il primo a stabilire che quando un giuocatone pronunzia “un fiori” molto
probabilmente non ha che tre carte in quel seme, talvolta due…
Conosciuto dai Micenei si cominciò a giuocarlo dal Peloponneso alla Tessaglia ma essendo quello il tempo degli Eroi quasi ogni partita degenerava in rissa, essendo í contendenti di membra forti e di cervello primitivo. Famosissimo il duplicalo, durato dieci anni, che si svolse ai Dardanelli durante il campionato “sotto le stelle” “Città di Troia” al quale parteciparono tutti i campioni del tempo e che infiniti addusse lutti agli Achei.
Con la nascita della filosofia si ebbe una seria svolta nella conduzione della partita * * * e comparve allora, glorificata dalla grandiosità degli uomini che la impersonarono, una figura che sta alla base di questo giuoco più delle carte e più del sistema: l’ Angolista (gr.: angolistas ).
Socrate fu uno degli angolisti più famosi e assidui, come pure Aristotele. Fu sommo angolista Euclide e Pitagora fece tutti i calcoli percentuali sulla distribuzione dei resti ma non
volle mai giuocare perché allergico alle fave.
Già ben radicato nell’area mediterranea il progenitore di quello che oggi chiamiamo Bridge attraversò le Alpi con le compagini cartaginesi guidate dal giovine Annibale, finissimo stratega, che bacchettò ben bene i Romani a Canne con l’espediente subdolo ma fruttifero della compressione.
Nella Roma imperiale il Bridge, che ormai si chiamava quaternarius abruptus, veniva praticato nascostamente nelle catacombe e nei mitrei frequentati da legionari delle province,
bandito dai giuochi ufficiali poiché fu all’origine d’un insurrezione popolare che quasi rase al suolo l’Urbe. Durante i giuochi organizzati per celebrare la vittoria di Adriano in Bitinia infatti, si decise, per quell’amor di modernismo che spesso è alla base del deterioramento morale della nostra società, di sostituire un combattimento di “Vergini Guerriere
della Tracia contro Orsi Nocivi appena catturati nelle foreste dei Teutoni” con un torneo individuale di quaternarius, con tavolo zoppo, che si svolse al Circo Massimo. Gli Annales riportano il nome del vincitore, un liberto greco: Quiritus Theo Duccius, che fu anche il primo ad essere lapidato dalla plebe inferocita.
Con la scissione e caduta dell’Impero il quaternarius sopravvisse nell’esarcato bizantino e nell’Impero d’Oriente, ove si colorò di sottigliezze impensabili prima, come i cartellini
per la licita in lamina d’oro e smalti policromi che ancor’oggi si possono ammirare nelle teche del Topkapi, che ne possiede una splendida raccolta.
Dato che ai tempi era ancora in auge la bella usanza della schiavitù un apposito schiavo, il biddingarius, seguiva il padrone allorché egli si recava a giocare alle Thermae. Tradunt che l’imperatrice Teodora fosse un’ottima giuocatrice ma converrete con me ciò essere assai improbabile.
Il Concilio di Nicea decretò che mai donna, pena la scomunica, giuocasse tre senza ma piuttosto cinque fiori meno due, dogma questo ancor oggi accettato nononstante secoli di confutazioni. Il buio periodo che segui, culminato con la Peste del 1350 trova il Bridge impigliato in un alternarsi dì vicende che lo vedono emergere e sparire nella Storia come un carsico fiume. Sicuramente seguì i Crociati e Goffredo di Buglione in Terra Santa e fu adottato come Jocho Officiale della Cavalleria del Tempio che lo caricò di significati esoterici e di linguaggi occulti come il “dispari chiama” e “pari rifiuta” e vi fu gran disputa con gli Ospitalieri a proposito del pari ‘bassa’ e pari ‘alta’ che portò a tenzoni anche sanguinose e fors’anco alla decisione di Filippo IV di Francia di sterminare tutti i Templari e di bruciare loro e le loro diaboliche carte proibendo il giuoco in tutta la Cristianità.
I1 bridge però sopravvisse presso gli Arabi, che avevano scambiato le regole di quello che ormai era nomato diabolicus bolgiae in cambio dello zero, da perfidi levantini qual essi sono e saranno sempre.
Dobbiamo però ringraziar loro e il loro acume per le innovazioni apportate, soprattutto quella del punteggio, sostituendo i polli, che fino ad allora erano stati l’appannaggio dei vincitori, con entità astratte ugualmente soddisfacenti. Osarono ancor più, innalzando il livello del gioco fino alle13 prese.
Fino ad allora infatti si poteva licitare fino alla mancia. Nell’area Araba nord africana (il Grande I-slam) si dichiaravano fino a tredici prese, nella zona di Granada e in tutta la Ispagna prima della Reconquista (il Piccolo I-slam) se ne dichiaravan dodici soltanto, forse per la trista influenza degli Ebrei sefarditi che la infestavano.
Questi che avean contatti con i mercanti della Serenissima diffusero il bridge così rinnovato prima nella Giudecca e poi nelle restanti isole della laguna. Pur con tutti gli ostacoli frapposti dal Papato, ch’ avea invisi il giuoco, la Repubblica de’ Dogi e gli Ebrei, nulla potè fermare l’espandersi del brogie, deformazione dialettale veneta del lemma
bolgiae incrociato col Franco Bruges (nome che avevano dato al giuoco gli Ebrei di Anversa), che varcati gli Appennini raggiunse la Signoria fiorentina e si aggiunse ai già numerosi vizii di cui soffriva la città de’ Medici. Tanto piacque a Lorenzo che volle egli ornare lo stemma di famiglia con sei palle per commemorare un “sei denari contrastate et, fatte contr’ un de’ Pazzi” anche se questo costò la vita al fratello Giuliano, come riporta il Vasari. Il Sistema giuocato in Firenze, messo a punto da Machiavelli, nomavasi “Fiorino” o “Giglio” fiorentino e lo si pratica ancora oggo, sebbene rarissimamente, in alcune valli di Toscana.
Con la balsamella, la marmellata e mill’altre cose il bridge seguì Maria De’ Medici in terra di Francia. Si dice che la Regina fosse bravissima anche nel controgiuoco, fatto che non possiamo storicamente confermare né con documenti né con carteggi ,per cui pensiamo sia una delle falsità create dal sentimento popolare che prendon nome di Storia solo appo le plebi. Daltronde gli Ugonotti, unici a poterne render testimonianza, moriron tutti d’influenza la notte di San Bartolomeo.
Nella vicina ed inimica terra anglosassone si apprese il bridge e com’è tipico di quel popolo millantatore, gli Inglesi si arrogarono inventori dell’istesso, ne stilarono nuovamente le
regole, mutarono il nome e imposero che durante ogni partita si dovesse sorbire almeno una tazza di quella ripugnante bevanda ch’è  il loro orgoglio nazionale.
Tant’era l’onore che si ricavava da una buona condotta nel giuoco del bridge che Enrico VIII si liberò di sei mogli, che pur amava, non trovandone una degna di seder seco lui al tavolo per giuocar nei tornei a coppie miste allora tanto in voga. Sembra che la figlia Elisabetta ereditasse dal padre il carattere volitivo e la disposizione al bridge. Dubitiamo fortemente di questo, essendo la notizia riportata da quel guitto prezzolato, sedicente autor d’Amleto , che nell’opera sua, quando Ofelia (turbata) chiede al Danese se voglia giuocar con lei quella sera, fa dire al tristo prence: “…Va, va …ritirati in convento” venendo ad esser causa del suicidio di lei.
 
NOTE:
* L’ autrice non capisce come possansi trovare angoli nei globi ma si adatta all’uso comune
** E’ per indotti…
*** Si cominciò infatti a discutere se il giuoco ” a senza” esistesse o no in quanto il termine contiene in se la negazione della propria necessarietà.
 
Credo di far cosa grata ai lettori che fin qui m’avessero seguita, inserendo un’ Appendice che elenchi alcuni de’ più Grandi Giuocatosi di Tutti i Tempi. Non me ne vogliano i non citati, esclusi non per demerito ma solo per non appesantir 1a lista. Son qui elencati i Grandi in ordine cronologico e non certo d’importanza a di bravura, essendo impossibile ricorrere a un simile criterio data la nota piaggeria dell’Autrice.
Faraone Thut Altr Kebas: Unificatore dell’alto e medio regno, eliminò da entrambi la licita “a colore” perseguendo il sogno d’un Egitto unito fino al Delta dal  tre senza”
.
Faraone Thut Altr Kealt: Successore del precedente, detto il Bambinogrande divulgatore, ebbe fama di non aver mai speso dal Tesoro del Circolo nemmeno i soldi per un caffè.
Manllo di Rodi: Vincitore ai Giochi del IV sec. A.C. si dedico alle carte (sembra su suggerimento d’Eraclito) deluso dall’insuccesso della disciplina sportiva da lui inventata il “selakiappo-telarimando” (gr.: tennis)
Pasquino il Macedone:  Seguì fino alle sorgenti dell’Indo le falangi d’Alessandro insegnando il giuoco a quelle genti barbare. E’ grazie al suo insegnamento se ancora, ai Tavoli, nell’India misteriosa e pur’anco nella civile Europa, si sente risuonar l’antico “fah-wha”!!!
Cardus Morellus Arbiter: Generale romano. A capo della XX Legio “Florfortiis” scampò all’eccidio della foresta di Teutoburgo perpetrato dai disertori della V Legio “Nobilis-quadri quartum”, dopodiché si ritirò,  come Cincinnatus, nel suo orticello. Capostipite della gens Morella che tanti ottimi giuocatori et rimarchevoli figure in tutti i campi dell’arte regalò al mondo.
Vescovo Albertus da Ini: Fece in giovanissima età voto di dedicarsi tutto all’ortodossia, perseguendo coloro i quali cedessero alle lusinghe eretiche che si propagavano tra’ semplici, come quellache afflisse gli Albigesi, che col ‘senza’ negavano l’appoggio terzo nel seme del compagno. Essi furon, per grazia di Dio e di Albertus, prontamente sterminati.
Angiolino De’ Salvatici: Crociato, cavaliere dell’Ordine dei Giustizieri della Misericordia, insignito della carica di Guardatone delle Carte nell’ambasceria Papale di Costantinopoli, ebbe colà la ventura di giuocare contro il Califfo Omar Sharif.
Aulos Al-Wadori: Giuocatone arabo di grandissima sapienza. Raramente si mostrò a’ popoli, preferendo restare arroccato nella sua fortezza in Mauritania. Fu detto l’ “Assente”.
Ser Gino Senzaterreni: Cadetto di nobile famiglia albionica fu un de’ migliori a’ tempi suoi benchè fosse accettato a’ tavoli solo se imbavagliato. L’arme di famiglia
reca il moto : “Mai se richiesto, sempre se non voluto”
Don Juares Mazzòn: Grande di Spagna. Detto ‘el ganzo’. Affrontò il bridge secondo una propria e innovativa interpretazione che difese anche contro il Tribunale della Santa Inquisizione. Non fece mai autodafé.
Arkanghel Von RossenkleineMagnifico Rettore all’Università di Tubinga confutò tutte le tesi sul bridge che Lutero aveva apposto sul portone della cattedrale di Wittenberg, avendone facilmente ragione cosicché anche tutti quelli che le avevano prima sostenute dissero: “Va bene, se lo dice Rossenkleine…”
Pedro Bartholdi: Detto “il Nero”. Prima corsaro con Francis Drake lasciò la flotta inglese per darsi alla pirateria. Fondatore della Confraternita della Filibusta ne resto Capo indiscusso per decenni seminando terrore tra i pricipianti com’è giusto che sia.